Coronavirus e migranti, l’appello: “Favorire l’accoglienza diffusa e chiudere i grandi centri”

Coronavirus e migranti, l’appello: “Favorire l’accoglienza diffusa e chiudere i grandi centri”

 

Il coronavirus non fa distinzioni tra le persone, questo è vero, tutti siamo esposti al rischio del contagio. Ma è anche vero che la povertà e la precarietà espongono maggiormente al rischio le fasce più deboli della popolazione, tra cui ci sono sicuramente i migranti. In un documento elaborato dall’Asgi e Action Aid, sottoscritto da decine di associazioni, sono raccolte le perplessità riguardo i diritti a rischio dei migranti che vivono nel nostro Paese. 

Le prime considerazione riguardano le strutture collettive di accoglienza a grande concentrazione (CAS, CARA, HUB, CPR, hotspot) che, come scritto nel documento, non sono oggettivamente idonee a garantire le restrizioni introdotte dalla normativa, esponendo a rischio sanitario sia i richiedenti asilo, sia i lavoratori e le lavoratrici dell’accoglienza. Proprio per questo, uno dei passaggi fondamentali dell’appello è la richiesta di chiudere queste strutture per favorire un sistema di accoglienza diffusa.

Il problema centrale è il sovraffollamento e le condizioni igieniche critiche, in particolare, per quanto riguarda i CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e i CAS (Centri di accoglienza straordinaria). Questi luoghi possono ospitare da decine a centinaia di persone, con la permanenza degli ospiti organizzata all’interno di moduli abitativi, container o camerate da dieci posti. A preoccupare sono anche i servizi di distribuzione dei pasti, spesso organizzati in spazi collettivi dedicati che “possono rappresentare – si legge sempre nel documento – un terreno fertile per la diffusione del virus, costituendo quelle «forme di assembramento» vietate dalla normativa vigente. Anche la fruizione dei servizi igienici, è segnata dalle medesime criticità”.

Nazzarena Zorzella, avvocato dell’Asgi, spiega che queste persone sono “oggettivamente impossibilitate a rispettare le misure previste dal legislatore, vivendo in luoghi che di per sé costituiscono assembramenti”. Inoltre le norme di prevenzione emanate dal Governo non sono state accompagnate dalla fornitura di equipaggiamento idoneo, come mascherine e disinfettanti, né da una sanificazione costante dei locali. Per non parlare della carenza di personale sanitario che deve offrire assistenza nelle strutture.

Il documento non si limita ad indicare le criticità, ma propone anche delle soluzioni pratiche da attuare. Riguardo ai Cas, i firmatari del documento chiedono la chiusura dei centri di grandi e medie dimensioni, incentivando il modello di accoglienza diffusa con distribuzione nei territori in piccoli appartamenti. Il documento, inoltre, chiede l’accesso al SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati) anche per quelli esclusi dal decreto sicurezza (titolari di permesso umanitario e richiedenti asilo). 

Riflettori puntati anche su CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio) e hotspot, per i quali preoccupano le condizioni di promiscuità e la mancanza di presidi sanitari adeguati: “Appare del tutto evidente – è scritto nel documento – che un contagio all’interno dei CPR o degli hotspot avrebbe conseguenze drammatiche, in quanto non potrebbe essere affrontato con misure di isolamento dei soggetti che risultassero contagiati. Di qui la necessità di impedire nuovi ingressi nei Cpr e negli hotspot e per le persone già trattenute nei Cpr di disporre le misure alternative al trattenimento, stante l’impossibilità attuale di eseguire ogni rimpatrio nei Paesi di origine”.

La lettera inviata al Ministero dell’Interno e a tutte le Questure e Prefetture con le sottoscrizioni

Foto di Alicja da Pixabay